Castello di Cimbergo
La rocca di Cimbergo è forse il rudere fortificato più affascinante della Valcamonica. La sua collocazione, a strapiombo su una forra e appena al di sopra del borgo medievale, costituisce un punto strategico di grande importanza per il controllo della Media Valle, rendendola inoltre tecnicamente inespugnabile. I dati sulla costruzione sono purtroppo carenti; alcune informazioni sulla frequentazione del luogo possono essere indirettamente desunte da documenti che menzionano la struttura. A tal proposito si sa di una investitura nobiliare a Cimbergo in data 1158, anno in cui il Vescovo di Brescia Raimondo conferisce il feudo di Cimbergo ai conti Pietro e Lanfranco Martinengo; è dunque probabile che già nel corso del XII secolo vi fosse una struttura fortificata nel luogo dove oggi si osservano i resti del castello. Un altro punto cardine nella storia della rocca è costituito dal diroccamento, avvenuto in seguito ad una rappresaglia divampata a Brescia nel 1288 contro i feudatari ribelli della Valcamonica: il feudo di Cimbergo passa così dai Martinengo alla famiglia guelfa degli Antonioli di Grevo. Da questo momento in poi, la fedeltà del borgo di Cimbergo al Vescovo di Brescia permane indiscussa, tanto che è accordata dal Vicario Cazoino un’investitura su “due parti di costa” nei pressi del villaggio di Zero (un piccolo nucleo abitato che sorgeva nei pressi dell’attuale Chiesa delle Sante, a Capo di Ponte, e distrutto da un’alluvione attorno al XIII secolo). Le lotte tra guelfi e ghibellini continuano per tutto il periodo successivo, alternando momenti di apparente tranquillità ad altri di accesa bellicosità. Nel 1363 i ghibellini distruggono alcune rocche dei nemici, tra cui anche quella di Cimbergo. Quest’ultima viene scelta quale sede di un trattato di pace il 12 marzo 1378, ma di fatto i conflitti non cesseranno ancora per alcuni decenni. All’inizio del XV secolo la contea di Cemmo e Cimbergo è trasferita a Bartolomeo e Boccaccio della Torre di Cemmo, affiliati ai Visconti nelle guerre contro la casata dei Malatesta. In seguito a varie vicissitudini, l’11 aprile 1441 la contea di Cimbergo sarà infine affidata a Paris Lodrone da Storo, la cui discendenza ne manterrà la proprietà fino al XVIII secolo.
Dalle ultime indagini archeologiche si sono tratti alcuni dati fondamentali sulle numerose fasi edilizie. Le principali tappe di edificazione sono tre e vanno dal XII al XVI secolo. Della prima fase edilizia resta ben poco a vista; le strutture sono riemerse solo grazie allo scavo archeologico. La base di un edificio del XII secolo fa intendere la presenza di una torre quadrangolare con basamento massiccio, mentre altri resti di muratura più sottile e porzioni di vani sono riconducibili a un piccolo edificio religioso, circostanza non inusuale nelle rocche di questo periodo. La fase edilizia successiva (fine del XIV-inizi del XV secolo) è per buona parte ancora ben conservata nelle murature in alzato ed è oggi sufficientemente riconoscibile: si compone di una cinta muraria perimetrale con all’interno almeno quattro edifici addossati alle mura e una cisterna scavata nella pietra viva e coperta da una struttura a botte, della quale oggi è visibile solo l’aggancio. Il portale di ingresso ad ogiva riporta, nella muratura sovrastante, la data 1404 e doveva essere preceduto da una sorta di rivellino (costruzione protettiva in muratura antistante agli ingressi), di cui oggi rimane solo il basamento. L’angolo della rocca rivolto al borgo di Cimbergo è invece da ricondursi all’ultima fase costruttiva (XVI secolo). Le indagini archeologiche sono tuttora in corso, ma è possibile ipotizzare che il castello si estendesse anche più in basso con un’altra cinta muraria, oggi in parte affiorante nel prato attorno al nucleo centrale. Durante gli scavi archeologici all’interno dell’edificio sono emersi un’acquasantiera a base quadrangolare in pietra con vari simboli incisi sui lati, resti di vasellame di produzione veneto-emiliana (XV-XVI secolo) e infine alcune tombe ad inumazione connesse all’edificio religioso.
(Testo ripreso da F. Troletti, 2010)
Centro Faunistico di Paspardo
Si tratte dell’unico Centro Recupero Animali Selvatici della provincia di Brescia, dedicato al recupero della fauna selvatica ferita o debilitata. In un bosco di sette ettari è possibile incontrare cervi, caprioli, gufi reali e poiane salvati dal centro, ma non più rilasciabili in natura. Gli allestimenti del centro visitatori spiegano la complessa e fragile ecologia che regola il nostro pianeta e l’importanza del contributo quotidiano di ognuno di noi per tutelarla.
Il centro offre inoltre un accurato servizio di benvenuto ai visitatori, una ludoteca e una piccola area picnic.
Rocca di Paspardo
Nel maggio 2011, il Consorzio delle Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo ha promosso lo svolgersi di scavi archeologici in località Castél (Paspardo), una rupe in posizione dominante sul fondovalle e in collegamento visivo con il castello di Cimbergo, per verificare la presenza di un fortilizio in quell’area. Come suggerito dalla toponomastica, le indagini archeologiche hanno confermato la presenza di un castello, sviluppato su più livelli, la cui effettiva dimensione non è ancora stata verificata: infatti, nonostante il cattivo stato di conservazione e la perturbazione dei livelli stratigrafici (causata dalla posa di ripetitori e dalla creazione di una strada di accesso), le indagini hanno evidenziato numerose murature pertinenti il castello.
È stato possibile individuare due fasi costruttive: alla prima (XIV secolo) appartengono la cinta muraria fortificata e il portale di ingresso, una cisterna alla veneziana per il filtraggio dell’acqua, la torre o mastio del castello e un edificio di cui non è possibile ricostruire la destinazione; alla seconda (post-medievale) risalgono invece il rimaneggiamento e ampliamento dell’edificio e di parte delle murature. Rimangono ancora dei quesiti irrisolti, che potrebbero trovare risposta grazie a una attenta ricerca negli archivi: a quale famiglia apparteneva il castello di Paspardo? Quali erano i rapporti con il vicino castello di Cimbergo?
Santuario della Via Crucis di Cerveno
Il santuario, chiamato le Capèle in dialetto camuno, si inserisce nella tradizione settecentesca sviluppatasi in area lombardo-piemontese dei Sacri Monti, ossia la rappresentazione delle stazioni della Via Crucis (solitamente poste lateralmente a una strada in salita). Il caso di Cerveno è particolare perché l’intero percorso si sviluppa internamente a un edificio (in questo caso si usa infatti definire la struttura “Santuario della Via Crucis”), affiancato alla chiesa parrocchiale, in cui le stazioni della Via Crucis si dispongono lungo un corridoio a gradoni, culminante con la cappella della Deposizione. Le 14 stazioni sono poste in nicchie ai lati della scalinata e contengono in tutto 198 statue a grandezza naturale in legno e gesso realizzate dallo scultore camuno Beniamino Simoni. Ogni gruppo statuario possiede una scenografia dipinta, che si fonde armoniosamente con le statue a tutto tondo e le altre figure a mezzo-rilievo (realizzate in stucco e affioranti dallo sfondo), creando un gioco illusorio di grande efficacia.
A Cerveno, nel Settecento, prende il via per volontà del parroco don Pietro Belotti un’impresa artistica che durerà per più di un secolo. Le motivazioni di tale iniziativa sono da rintracciarsi nel fermento devozionale ispirato dai luoghi santi della Palestina e dalla predicazione francescana, anche se l’opera fu commissionata e portata a termine interamente dalla comunità di Cerveno. L’idea originaria del Belotti era di affidare l’incarico allo scultore Andrea Fantoni di Rovetta (il quale ha realizzato l’altare maggiore in bosso e il coro, l’altare della Madonna del Rosario, la statua dell’Immacolata Concezione e un Cristo morto della chiesa parrocchiale di Cerveno), ma dopo la morte dell’artista nel 1734 il parroco reggente (don Andrea Boldini) passò la consegna allo scultore Beniamino Simoni (1712-1787). La fabbrica continuò per molti decenni, tanto che la XIV ed ultima stazione fu portata a termine solo nel 1869 ad opera di Giovanni Selleroni di Milano. Nel 1763 si è però già a buon punto sul completamento dell’opera: a tale data il Simoni ne ha già realizzati oltre i tre quarti (mancavano solo due cappelle su quattordici e qualche statua di un’altra stazione). Sono dunque da attribuire a Beniamino Simoni le cappelle che vanno dalla I alla VII e dalla XI alla XIII, mentre l’VIII, la IX e la X saranno completate da Francesco e Donato Grazioso Fantoni, i quali consegneranno le opere nel 1765. L’inaugurazione ufficiale si svolse nel 1783, anche se nell’ultima cappella vi era collocata solo l’urna del sepolcro con la statua del Cristo Morto, oggi custodita nella chiesa parrocchiale.
Il Santuario della Via Crucis è costruito a ridosso della facciata della chiesa parrocchiale, cosicché dal fondo della navata della chiesa è possibile accedere facilmente al santuario (posto perpendicolarmente). La conformazione del “monte” è dovuta in gran parte alla presenza delle scale che portano da una stazione all’altra e dall’ingombro dei pianerottoli per la sosta dinnanzi ai gruppi scultorei. Questi ultimi sono posti all’interno di edicole non comunicanti tra loro che si affacciano su ambo i lati del vano centrale, il quale sale dal basso fino all’ultima stazione, eretta frontalmente sulla sommità. Il vano centrale è coperto con volte in muratura affrescate dai pittori Bernardino Albricci, Paolo Corbellini e Giosuè Scotti, mentre all’interno della XIV stazione si trovano affreschi di Giuliano Volpi da Lovere. Le statue sono per lo più in legno, scolpite a tutto tondo e dipinte, altre in stucco a mezzo-rilievo, vale a dire con figure che fuoriescono dal muro ai lati o dietro i personaggi principali. Ogni gruppo statuario possiede una scenografia dipinta, la quale si fonde armoniosamente con le figure a tutto tondo creando un gioco illusorio di grande efficacia. Tale impianto artistico doveva permettere al fedele devoto di praticare, con maggiore coinvolgimento, il Pio esercizio della Via Crucis. Questa forma di teatro della pietà vide l’origine nel francescano Bernardino Caimi che, di ritorno dalla Terrasanta, in seguito ad una visione, ebbe per primo l’intuizione di edificare un “Sacro Monte”, che poi realizzerà a Varallo.
Le statue di Cerveno, scolpite a grandezza naturale, riproducono vari personaggi biblici, alcuni tratti dai Vangeli ufficiali, altri da un copione di “tipi” umani di invenzione plautina. L’immagine di Cristo è la sola che si libera dallo stereotipo caricaturale, trasfigurandosi in una sorta di volto mistico: Gesù è quindi ritratto secondo i canoni del “bello”, seppur in una composta sofferenza. I carnefici, gli sgherri e gli ebrei rappresentano al contrario una sequenza di tipi umani e un vero e proprio “catalogo di fisionomie”, quasi uno studio sociale, tanto che a Cerveno con il passare del tempo si sono attribuiti specifici nomi alle statue in riferimento all’azione rappresentata. Tali nomi, da ricondurre dunque alla tradizione orale locale, fanno riferimento infatti a “l’uomo del bastone”, “l’uomo del cane”, “l’uomo del fiele”, “il centurione”, “il mercante”, ecc. La brutalità dell’animo dei carnefici è sottolineata non solo dalla spiccata gestualità delle sculture, ma soprattutto dai lineamenti deformati dei visi, che in questo modo sembrano esplicitare una concezione che equipara il “brutto” al “cattivo”. Al contrario il San Giovanni, la Maddalena e le Marie, che incarnano la fazione del “bene”, sono raffigurati con volti classici e sereni.
Il santuario continua oggi a vivere grazie alla perdurante devozione degli abitanti di Cerveno, che ogni dieci anni vestono i panni di questi “personaggi” per interpretare una spettacolare Via Crucis vivente (con circa 140 figuranti), testimone unica della profonda devozione che fu all’origine di tale grande impresa scultorea. Nel paese si può visitare la Casa Museo, che raccoglie la documentazione delle precedenti edizioni.
(Testo ripreso da F. Troletti, 2010)
Per saperne di più:
P.zza Roma – 25040 Cerveno (BS)
Tel.: 0364 330227
Cell.: 328 9014152
Chiese romaniche
Percorrendo a piedi o in auto la strada del fondovalle è immediatamente percepibile la presenza di alcuni edifici d’epoca romanica, che s’impongono sul paesaggio circostante: si tratta della Pieve di San Siro e della chiesa del Monastero di San Salvatore, a Capo di Ponte. I due siti sono facilmente visitabili tutto l’anno e non presentano particolari problemi di accessibilità.
Pieve di San Siro
San Siro, di pertinenza del pievano, sorge su una suggestiva balza rocciosa a 410 metri di altezza s.l.m. La chiesa, costruita a cavallo tra l’XI e il XII secolo, è facilmente visibile già dalla strada statale. L’edificio in pietra si inserisce infatti nelle sinuose movimentazioni della pietra viva, dando l’idea di una naturale fusione tra la natura e il manufatto umano. Per poter meglio valutare la portata artistica del monumento si consiglia una visione dal basso, idealmente nei pressi del ponte sul fiume Oglio posto in centro al paese di Capo di Ponte, ove è possibile apprezzare l’arditezza del lato absidato posto letteralmente a strapiombo sul fiume. L’edificio rappresenta uno dei migliori esempi del romanico lombardo, in particolare per via della presenza di tre absidi, una maggiore e due minori ai lati, e delle relative cripte sottostanti, in cui si conserva parte di roccia viva affiorante. La chiesa si raggiunge salendo una scalinata che termina in un sagrato erboso, dal quale si accede all’interno dell’edificio attraverso un portale in pietra posto sul lato Sud.
La chiesa è priva di facciata poiché ad Ovest, dove la struttura si addossa alla roccia, trovano spazio soltanto un piccolo romitaggio e il campanile cinquecentesco; si può quindi affermare che la facciata è stata posta lateralmente e, in effetti, la grandiosità del portale di accesso è certamente degna di un ingresso principale. Il portale, a tutto sesto, presenta una strombatura con colonne alternate a pilastrini a base quadrata, questi ultimi lavorati con elementi figurativi in bassorilievo. La lunetta mostra inserti in pietra raffiguranti elementi floreali, geometrici, anfisbene, sirene, ai quali si aggiunge l’iscrizione “HINC DEUS INTRANTES AD TE BENEDIC PROPERANTES” (“Benedici, o Dio, coloro che entrando si affrettano verso Te”). Internamente l’edificio è suddiviso in tre navate, chiuse da un lato dalle tre absidi e dall’altro dalla roccia viva, abilmente scavata per formare alcuni gradoni adibiti a seduta. La copertura è in legno per la navata centrale. Il presbiterio sopraelevato fa spazio alla cripta sottostante, che conserva un altare, alcuni affreschi e una copertura a volta poggiante su tozzi fusti di colonna sormontati da capitelli. Sulle pareti della chiesa vi sono resti di affreschi, tra cui si segnala, per la rarità iconografica, una Madonna dei Mestieri. A fianco di quest’ultima compare un Battesimo di Cristo, evidente riferimento alla prerogativa dell’istituzione pievana di amministrare il battesimo ai neofiti e che, nel caso della chiesa di San Siro, si effettuava nel fonte battesimale in pietra, di notevoli dimensioni, ancora conservato all’interno della navata occidentale.
(Testo ripreso da F. Troletti)
Aperta tutto l’anno su prenotazione, a pagamento.
Previste aperture stagionali gratuite
Per informazioni: 0364 42080 (Pro Loco)
Monastero di San Salvatore
L’attuale chiesa di San Salvatore doveva essere il punto focale di un microcosmo monastico cluniacense più vasto, di cui oggi si può cogliere solo qualche struttura superstite nelle mura. La chiesa, edificata verso la fine dell’XI secolo, è oggi proprietà della Fondazione Camunitas, che l’ha recentemente restaurata, rendendola così visitabile al pubblico su prenotazione.
Documenti papali segnalano la presenza dell’edificio fin dal 1095, ma la fondazione e la pertinenza va attribuita ai monaci cluniacensi, tanto che la chiesa è stata annoverata fra i maggiori esempi del romanico borgognone. Pur essendo posta in una zona pianeggiante, la struttura si inserisce in più punti e in modo naturale sulla roccia affiorante, come già in parte visto per la Pieve di San Siro. Dalla semplice facciata con bifora centrale si intuisce la presenza di tre navate. Il portale d’ingresso è sobrio, decorato solo con alcuni inserti in bassorilievo. Notevoli invece le tre absidi, che sembrano quasi sorgere dalla viva roccia: esse sono dotate di semicolonne che scandiscono verticalmente i settori architettonici, mentre sulla sommità corre senza interruzione una lunga serie di archetti, alcuni dei quali poggianti sulle semicolonne. Ulteriore elemento di scansione muraria è offerto dalle monofore ad arco tondo. Di notevole interesse è il tiburio a base ottagonale che poggia sull’incrocio tra navata principale e transetto. Ogni lato presenta una bifora retta da colonnina e capitello, elementi già visti in molti campanili romanici del circondario. La copertura interna è in muratura ed è stata realizzata con volte a crociera. In sintonia con gli edifici romanici di tutta Europa, i capitelli della navata sono scolpiti con figure tratte dall’immaginario medioevale: sirene, animali, anfisbene e personaggi biblici. Le pareti dovevano essere affrescate, ma si conservano solo alcuni lacerti collocabili attorno al XV secolo, fra cui una Madonna in trono con Bambino, un santo cavaliere e un probabile S. Antonio Abate.
(Testo ripreso da F. Troletti)
Proprietà privata, aperto in particolari occasioni e su prenotazione.
Per informazioni: 0364 327767 (Fondazione)
MUPRE – Museo della Preistoria
La Valcamonica è famosa in tutto il mondo per il suo straordinario complesso di raffigurazioni incise sulle rocce, in gran parte risalenti alla Preistoria. Se dunque è noto al vasto pubblico il patrimonio iconografico di queste antiche popolazioni, meno conosciuti sono gli aspetti del loro vivere quotidiano, emersi solo negli ultimi 30 anni grazie a numerosi interventi di archeologia preventiva e di ricerca condotti in Valle. A queste comunità, che dalla tarda Età del Ferro (e in particolare dopo la conquista romana) saranno note come Camunni, sono riferibili vari abitati, luoghi di lavoro, di culto e sepolture. Per dare spazio anche a questi aspetti dell’antica civiltà camuna si è deciso di realizzare il Museo Nazionale della Preistoria (MUPRE), grazie all’interessamento del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia e con il sostegno di Distretto Culturale della Valle Camonica-Fondazione CARIPLO.
Il Museo, ospitato nell’antico edificio di Villa Agostani nel centro storico di Capo di Ponte, integra con l’esposizione dei reperti il patrimonio di immagini incise sulle rocce, ricomponendo in un insieme inscindibile l’espressione identitaria della Valcamonica.
Per saperne di più:
www.mupre.capodiponte.beniculturali.it
Via S. Martino 7 – 25044 Capo di Ponte (BS)
Tel.: 0364 42403
MUSIL – Museo dell’energia elettrica
Il Musil – museo dell’energia idroelettrica di Cedegolo, parte della rete del Museo dell’industria e del lavoro di Brescia, ha sede in un gioiello dell’archeologia industriale italiana: il Museo è infatti ospitato dalla ex centrale idroelettrica del paese, capolavoro di inizio Novecento del bresciano Egidio Dabbeni, ingegnere e architetto di fama internazionale. Uno spazio straordinario di 3.200 mq, disposto su 6 piani per un totale di 12 sale, situato in un edificio emblematico della modernità novecentesca, contenitore ideale per un museo di nuova generazione.
Il percorso espositivo, adatto a bambini e adulti, è un’esperienza per tutti i sensi: numerose installazioni multimediali e interattive raccontano il percorso dell’acqua, partendo dalle nuvole e dalla pioggia, passando per i laghi, le dighe, le condotte forzate e i macchinari per la generazione dell’energia elettrica, fino ad arrivare al consumo nelle case e nelle fabbriche. Inoltre, nel 2015 il Museo è stato riconosciuto dal Consiglio d’Europa quale anchor point della European Route of Industrial Heritage.
Per saperne di più:
www.musilbrescia.it/it/sedi/musil-cedegolo/
Via Roma 48 – 25051 Cedegolo (BS)
Tel.: 342 847 5113
Arte rupestre in Valcamonica – altri siti aperti al pubblico
Attualmente le aree d’arte rupestre organizzate come Parchi in Valcamonica sono otto e comprendono alcuni dei siti più importanti e interessanti.
Istituiti in epoche diverse, gli otto parchi sono contraddistinti da una giurisdizione (comunale, regionale, nazionale) e un assetto amministrativo (essenzialmente, gestione pubblica o privata) specifici. Pertanto, ogni parco emana un proprio regolamento, secondo linee guida ampiamente condivise e definite dallo Stato, e applica una propria politica riguardo agli orari di apertura e alla gestione degli ingressi. Ogni parco deve essere controllato caso per caso, facendo riferimento agli incaricati dell’amministrazione. Questa apparente frammentazione sta per essere sempre più semplificata, in quanto negli ultimi anni è in atto uno sforzo di coordinamento che coinvolge tutte le istituzioni interessate (Ministero, istituzioni locali e distrettuali, istituti di ricerca, ecc.), le quali stanno collaborando attivamente per produrre progetti condivisi e a lungo termine, finalizzati alla promozione complessiva del sito UNESCO n. 94, “Arte Rupestre della Valcamonica”.
Gli otto parchi coprono l’intera Valle, consentendo una visione completa dell’estensione e della varietà di temi e periodi offerti dal fenomeno incisorio in senso lato. L’itinerario suggerito per la scoperta delle incisioni rupestri (da svolgersi in un’unica giornata o in più giorni), dovrebbe prevedere innanzitutto la visita ai siti della Media Valle (Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane a Capo di Ponte e la Riserva Naturale di Ceto, Cimbergo, Paspardo), per poi raggiungere il sito più importante della Bassa Valle (Parco Archeologico comunale di Luine a Darfo Boario Terme) e, a seconda del grado di interesse e del tempo a disposizione, ognuno degli altri parchi descritti (Corni Freschi a Darfo Boario Terme, Asinino-Anvòia a Ossimo, Sellero e Sonico).
Ognuno di questi parchi può diventare una fonte di fascino per chi desidera addentrarsi nella magia dell’arte rupestre preistorica. Un percorso proposto collega tutti gli otto parchi, da Luine (Darfo Boario Terme) a sud al Coren delle Fate (Sonico) a nord, coprendo quasi l’intera estensione della Valle (circa 70 km di lunghezza). Per i visitatori che desiderano avere un’idea più esaustiva dei dintorni delle diverse aree, è prevista la possibilità di fermarsi lungo il percorso e visitare alcuni monumenti particolarmente importanti dal punto di vista storico o artistico (come siti romani, chiese medievali, ecc.), posti nelle vicinanze dei parchi descritti.