Nadro
Nadro (421 m s.l.m.), con la sua grandiosa torre di granito alta circa 30 metri che sovrasta il centro storico, è una frazione del Comune di Ceto. Nel cuore del borgo, in una casa padronale del XVI secolo, ha sede il Museo didattico, punto informativo e biglietteria della Riserva, dove è inoltre presente un’interessante esposizione sull’arte rupestre.
Nella frazione è visitabile anche la chiesa parrocchiale, dedicata ai SS. Gervasio e Protasio, affrescata da Antonio Guadagnini (1817-1900), eclettico pittore di Esine che ha lasciato in Valcamonica numerose opere di notevole importanza.
La storia del borgo di Nadro e del suo territorio ha gravitato fin dal X-XII secolo intorno all’antico castello di Fina (poi Figna), posto sul pianoro sovrastante l’attuale paese. Qui già nel 1175 è insediato, in una roccaforte, un signorotto locale: Girardo e poi Oddone di Fina, del ramo dei Martinengo di Brescia. In questo momento storico la Valcamonica è feudo vescovile: è infatti al vescovo di Brescia che i signorotti giuravano fedeltà e pagavano i diritti feudali e le decime sui terreni che venivano loro assegnati, in cambio dei prodotti che terra e uomini potevano rendere. Intorno al XII-XIII secolo venne edificata a Nadro una casa-torre: anche qui, come a Cimbergo, il fortilizio era adiacente e controllava la via che, provenendo da sud, transitava da Ceto e poi proseguiva verso Capo di Ponte e il nord della Valle. Si suppone che poco dopo (o forse contemporaneamente), nelle adiacenze della torre venne edificato un castello-palazzo, destinato a divenire il complesso intorno a cui si svilupperà il futuro borgo medievale. Inizialmente, la torre di guardia era forse collegata in quota al castello-palazzo solo tramite un passaggio mobile o ligneo, consentendo il controllo del transito dei carri e delle persone nel sottostante viottolo. Modesti edifici, addossati gli uni agli altri e con passaggi coperti sopraelevati posti fra piccole corti, si andarono aggiungendo accanto alla mole del castello-palazzo, punto di riferimento ma anche di protezione per il borgo contadino. Il territorio, seppur povero, consentiva infatti la coltivazione di zone a pascolo e di vigneti, mentre un macello era presente già nel 1300, così come due mulini e una segheria.
Ai Figna succedono nel XIII secolo i Botelli, poi i Federici e i Gaioni. A questi ultimi si deve la trasformazione nel XV-XVI secolo della casa-torre nel complesso gentilizio che ancora ammiriamo: alla originaria struttura fortificata vennero aggiunti volumi edilizi con ampie sale affrescate e un giardino, insolito per la mentalità locale. Con il periodo veneto (e la progressiva perdita di potere della figura vescovile), nuove aggregazioni sociali ed entità di controllo e governo del territorio affiancarono le figure classiche dei signori locali: le vicinie, strutture semplici di cui facevano parte le rappresentanze delle famiglie locali e che gestivano (oltre ad ampie fette del territorio) anche una serie di servizi comuni che andavano dal macello, al forno, al mulino, destinando fondi alle famiglie più bisognose e definendo turni di lavoro che ogni famiglia doveva svolgere per il mantenimento del bene collettivo. Si tratta di una forma elementare, seppur circoscritta localmente, di struttura comunale, molto ben sviluppata in quest’area montana.
La configurazione del borgo di Nadro così come ci appare oggi è in sostanza scaturita dalla struttura sociale ed economica del feudo medioevale, a cui si sono aggiunte, già in epoca veneta, realtà socio-economiche locali. Il castello di Figna (ora perduto) e l’insieme del castello-palazzo di Nadro furono gli edifici di riferimento, a cui si sono progressivamente aggiunte (già nel XV-XVI secolo) realtà economiche nuove, testimoniate dalle case a corte (edifici arcati costruiti a più riprese che si affacciano su una corte centrale, chiusa sulla via da un grande portone), di cui un esempio è proprio l’edificio in cui ha sede il Museo della Riserva. Con il XIX secolo il borgo medioevale, così come buona parte dei centri storici alpini, rompe il suo chiuso perimetro e l’edificazione puntiforme si allarga agli ambiti esterni, prima occupati dai pascoli e dai terrazzamenti agricoli.
Dal 1980 il Consorzio, gestore della Riserva Naturale, persegue una politica di recupero degli spazi e dei volumi presenti nel borgo medioevale: attualmente sono già stati recuperati cinque edifici contigui (tra cui due case a corte), destinati ad accogliere le funzioni espositive, di informazione, servizio ed accolta turistica della visita alla Riserva e che costituiscono il nucleo originale del Museo, punto introduttivo alla visita dell’area protetta.
Cimbergo
Il borgo di Cimbergo (850 m s.l.m) è dominato dall’alto dalla mole del suo castello. Presso la sede del Comune è allestita una piccola esposizione che presenta i reperti rinvenuti durante lo scavo archeologico. In paese sono visitabili anche la chiesa parrocchiale, dedicata a santa Maria Assunta, e la chiesa di San Giovanni Battista, con un pregevole portale in pietra di Sarnico che riporta la data 1574.
Come dicevamo, la caratteristica che più salta all’occhio nel borgo di Cimbergo è proprio il suo castello: arroccato su di una rupe, è presenza architettonica ma anche segno tangibile della storia che si è svolta qui, condizionata dagli eventi legati a questa rocca, ampiamente documentati anche nelle incisioni impresse a Campanine. Oggi la struttura fortificata ci appare isolata e fiera sul suo sperone roccioso, solida nella struttura ovoidale a strapiombo su due lati sul torrente Re. Ben diversa doveva presentarsi nel Medioevo, quando (come documentano ancora testimonianze ottocentesche) larghi muraglioni concentrici scendevano sino alla piana sottostante con una grande torre, demolita nell’Ottocento insieme ai muraglioni difensivi per costruire la torre campanaria della parrocchiale.
Anche qui, come a Nadro e in molti centri montani, la collocazione della fortificazione è stata determinata e condizionata dalla posizione strategica della rupe su cui fu edificata: di controllo della Valcamonica (dall’alto è possibile vedere l’entrata e l’uscita dalla Valle), ma anche di passaggio dei collegamenti tra questa e le contigue vallate del Mella e delle Valli Giudicarie (e quindi dell’area trentina). Le notizie storiche indicherebbero la presenza di un fortilizio già alla fine del IX secolo, forse eretto a difesa contro i gruppi barbarici (in particolare gli Ungari) che imperversavano in quei decenni. Successivamente questo nucleo originario venne ampliato e definito nella sua forma attuale, mentre dal 1100 in poi documenti scritti attestano vari avvenimenti storici svoltisi qui: investiture feudali, accordi tra vassalli, visite di sovrani (memorabile quella del Barbarossa, che qui soggiornò), tutti eventi che attestano l’importanza strategica del castello e dei suoi feudatari.
Lo stretto interscambio tra castello e territorio è attestato anche dalle numerose incisioni rupestri di epoca medioevale incise sulle rocce sottostanti: figure di castelli, armi in uso nel Medioevo, simboli cristiani ma anche frammenti di momenti storici svoltisi in quel periodo, come le numerose forche patibolari con impiccati, che richiamano forse avvenimenti documentati (nel 1361 i Visconti impiccarono 38 abitanti del Paese!). In questo quadro di riscoperta della storia di Cimbergo attraverso le incisioni rupestri, anche il castello ha riacquistato il suo tassello nelle vicende di questo borgo.
Paspardo
Il borgo di Paspardo (1000 m s.l.m.) presenta un classico impianto urbanistico medievale, le cui strade strette, portali e corti raccontano la peculiarità della vita quotidiana nei piccoli borghi delle Alpi.
Il paese, circondato dai boschi, è tenacemente aggrappato alla montagna. Il suo nome sembrerebbe derivare da pascuum aridum, che significa “pascolo arido, magro” e sottolinea le difficili condizioni di vita della comunità. L’antico borgo medioevale si sviluppava lungo la strada che correva a mezza costa (attualmente al centro del Paese), da cui ancor oggi si può accedere a corti racchiuse da case arcate, che danno forma a quei piccoli mondi autonomi in cui tipicamente si svolgeva la vita delle comunità valligiane alpine. La particolarità di Paspardo è che qui è ancora visibile l’antico modo di “abitare” la montagna, in auge fino al secolo scorso, quando era ancora attivo un modello insediativo definitosi già nella preistoria. Si tratta di una forma flessibile che si sviluppava verticalmente, per fasce: la vita delle famiglie non si svolgeva infatti in un unico ambiente, ma in più luoghi di abitazione, scelti a seconda delle stagioni e dei raccolti. Questi ambienti erano almeno tre: la casa in paese, la cascina e la baita; tre rifugi strettamente legati all’ambiente (per dimensioni, materiali e struttura interna) e alle attività economiche che si dovevano svolgere, secondo un modello economico legato all’utilizzo completo e ottimale delle risorse montane.
Questo modello insediativo è ancora ben visibile a Paspardo, in cui la fascia delle attività stagionali intermedie (primaverili ed autunnali, ovvero la raccolta dei frutti del bosco e della terra) corrisponde alla zona della Deria, distante circa 800 metri dall’attuale nucleo del paese; poco sopra, nell’area corrispondente all’attuale abitato, trovavano collocazione i terrazzamenti agricoli e il borgo principale, luogo di riferimento della comunità (con la chiesa ed il cimitero), in cui ci si radunava nei periodi invernali e in occasione delle festività e ricorrenze (cristiane o pagane); infine la fascia superiore, fino ai 2000 m (l’attuale località della Zumella), è quella in cui il nucleo si trasferiva (in forma completa o parziale) per utilizzare o raccogliere i prodotti concessi dalla limitata estate alpina (foraggio per il bestiame, selvaggina, ecc.).
Di fatto, questo modello ha strutturato e antropizzato ampiamente tutti i versanti montani valligiani, creando sentieri, viottoli, terrazzamenti, nuclei abitativi isolati o concentrati, collegati da una fitta rete di sentieri; un modello che ha portato i gruppi umani a spostarsi (quasi sempre a piedi) soprattutto in senso verticale, dal basso verso l’alto e viceversa, creando un profondo coinvolgimento e conoscenza della montagna e dei suoi cicli stagionali.
(Testo ripreso da Sara Bassi).