Quando si parla di Preistoria si corre spesso il rischio di schiacciare diverse migliaia di anni di evoluzione tecnologica, sociale e ambientale in un piatto immaginario, fatto di uomini “selvaggi e primitivi, abitanti delle caverne e armati di clava”. Al contrario, l’avventura umana è entusiasmante fin dalla Preistoria, popolata di scoperte rivoluzionarie, di raffinate acquisizioni tecniche e di grandi artisti.
Proponiamo quindi un rapido excursus cronologico, che non vuole – e non può – essere esaustivo, ma permette di inserire il fenomeno Valcamonica in un più ampio quadro temporale, restituendo profondità e prospettiva ad una storia lunga circa 10.000 anni!
L’arte paleolitica
Gli uomini del Paleolitico Finale hanno prodotto arte dipingendo o incidendo sulle rocce o nelle grotte. In Europa, le testimonianze più belle finora rinvenute sono le grotte dipinte rinvenute ad Altamira in Spagna, a Lascaux in Francia e i santuari su rocce all’aperto, come Foz Coa in Portogallo. In Italia il fenomeno è invece molto più modesto: ricordiamo il sito dei Balzi Rossi (Liguria), la grotta Paglicci e Romanelli (Puglia), il riparo del Romito (Calabria) e i siti di Addaura, Levanzo e Niscemi (Sicilia).
Le pitture e le incisioni paleolitiche variano da luogo a luogo, ma il soggetto preferito di quest’arte fortemente naturalistica sono animali di grandi dimensioni, spesso realizzati sfruttando le sporgenze e le rotondità delle rocce per sottolinearne i volumi anatomici. Le figure umane sono più rare, ma compaiono in scene di caccia, di lotta e in situazioni rituali.
I primi abitanti della Valcamonica
L’avventura del popolamento umano delle Alpi ha inizio in epoca più tarda rispetto ai grandi cicli dipinti e incisi della zona franco-cantabrica: il processo di deglaciazione della Valcamonica sembra infatti concludersi fra i 15.000 e i 10.000 anni fa. La steppa creatasi nella prima fase di disgelo lascia spazio a boschi di pini e betulle. In questo nuovo ambiente una fauna di alci, cervi, capridi e altri mammiferi ripopola i versanti montani che divennero un buon territorio di caccia per bande di cacciatori seminomadi.
Questa prima fase del popolamento della valle è poco documentata e i ricercatori hanno pochi dati archeologici cui appoggiare le loro teorie: a quest’epoca risalgono gli strati più antichi del Riparo II di Foppe di Nadro, un riparo di cacciatori individuato ai piedi della rupe di S. Stefano a Cividate Camuno e alcune sagome di grandi erbivori realizzate in uno stile naturalistico ed elegante, incise sulle rocce nel parco di Luine a Darfo Boario Terme.
Il Neolitico
Solo intorno al V-IV millennio a.C. iniziano a insediarsi stabilmente in Valcamonica delle comunità sedentarie, le quali praticano le prime forme di allevamento e agricoltura, utilizzano la ceramica e conoscono la tecnica della levigatura della pietra. Gli scavi archeologici condotti da F. Fedele al Castello di Breno hanno rivelato la presenza in quest’area di un piccolo insediamento neolitico con i resti di una capanna, sapientemente ricostruita presso l’area attrezzata di Foppe di Nadro.
L’arte rupestre ci offre un repertorio artistico schematico, astratto, essenziale in cui dominano gli antropomorfi raffigurati nella posizione dell’ “orante”, delineati con pochi tratti rettilinei, che continuerà a essere raffigurata anche in epoche successive. Incontriamo questo genere di figure sulle rocce di Foppe di Nadro (il logo della riserva con un orante e un disco solare è ripreso dalle incisioni della Roccia 1 di Foppe di Nadro), a Campanine e Paspardo.
Anche l’arte rupestre sembra sottolineare l’importanza dell’avvento dell’agricoltura. Alcuni ricercatori attestano tra il Neolitico e l’Età del Rame la comparsa di raffigurazioni astratte e schematiche che vengono definite “mappiformi” o “figure topografiche”. Come nel caso degli oranti, queste raffigurazioni continueranno ad essere riprodotte anche in epoca più tarda, dalle prime macule fino a complesse composizioni geometriche.
In contrasto con quanto avveniva nel periodo precedente, le raffigurazioni di selvaggina sono pressoché assenti. In generale, gli animali sono poco rappresentati nel repertorio iconografico neolitico; potrebbero appartenere a questa fase i canidi della roccia 27 di Foppe di Nadro e le figure di bucranio (raffigurazioni schematiche di bovini a grandi corna) della roccia 8 di Campanine di Cimbergo.
L’Età del Rame
Fra la fine del IV e per quasi tutto il III millennio (circa 3.300-2.200 a.C.), nuove e importanti acquisizioni tecnologiche hanno chiari effetti sulla mentalità e sull’organizzazione sociale: l’introduzione dell’aratro a chiodo e l’uso dei bovini come animali da trazione permette di praticare un’agricoltura più efficace, il trasporto su ruota garantisce una maggiore possibilità di movimentazione e soprattutto si afferma l’uso dei metalli per la produzione di oggetti di prestigio. Inoltre, l’estrazione e lavorazione dei metalli porta alla nascita di nuove figure professionali e il commercio dei manufatti prodotti stimola contatti culturali ad ampio raggio. L’oro, l’argento e il rame (metalli molto malleabili ma con scarse doti di resistenza) sono impiegati per la produzione di armi e strumenti rituali, ornamenti ed oggetti di rappresentanza: ad esempio, i pugnali raffigurati in modo molto dettagliato sulla Roccia 22 di Foppe di Nadro sono perfettamente corrispondenti agli esemplari in rame ritrovati in alcune sepolture della necropoli di Remedello (BS).
Tutti questi fattori portarono maggiori possibilità per accumulare ricchezze e, conseguentemente, una maggiore differenziazione sociale. In questo periodo si delinea una struttura gerarchica della società: questa è ora composta da artigiani, allevatori e contadini con tendenze guerriere più pronunciate rispetto alle precedenti tribù neolitiche e con una struttura sociale più organizzata e centralistica.
Gli uomini dell’Età del Rame deputarono al culto luoghi precisi (creste rocciose, convalli o bordi di piccoli pianori), erigendo allineamenti di grandi pietre decorate con incisioni. In Valcamonica ci sono numerosi siti con queste caratteristiche, quali il sito dei Massi di Cemmo e le località Pat, Passagrop, Asinino e Anvoia a Ossimo. Gli esempi in riserva sono la Roccia 30 a Foppe di Nadro e alcuni frammenti di statua stele inglobati in un muro di sostegno in località La Volp-In Vall a Paspardo. Di particolare interesse segnaliamo una variante di questo fenomeno che per ora ha trovato riscontro solo in Riserva: gli stessi temi incisi sulle statue stele trovano posto sulle rocce, in spettacolari composizioni monumentali (l’esempio più famoso è il Capitello dei due Pini in località Plas, a Paspardo). Il Centro Camuno di Studi Preistorici ha evidenziato manifestazioni di questo fenomeno anche su diverse rocce di Foppe di Nadro (R22, 28, 60).
L’Età del Bronzo
In Italia, l’Età del Bronzo si colloca convenzionalmente fra il 2.200 e il 900 a.C., un periodo di più di mille anni in cui l’evoluzione culturale fu rapida e radicale e lo sviluppo tecnologico assunse un ritmo nuovo, mai conosciuto prima dall’uomo.
Forse in risposta a un forte incremento demografico, nuove terre vennero colonizzate e disboscate: per la prima volta l’uomo iniziò a modificare l’ambiente in modo significativo, sottraendo ai boschi i terreni necessari all’agricoltura. Nelle zone montane e pedemontane, come la Valcamonica, l’espansione demografica spinse l’uomo ad abitare non solo sui bassi versanti, ma anche in quota, per sfruttare le risorse presenti sulle varie fasce altimetriche.
Gli uomini dell’Età del Bronzo instaurano un più complesso regime sociale, basato sulla stabilità dell’insediamento (divenuto possibile grazie alla rotazione delle colture e dal raffinamento delle tecniche agricole), sugli scambi commerciali e su un ruolo ora veramente importante ricoperto da metallo e metallurgia. L’elemento virile e guerriero consolida il suo ruolo sociale e religioso, con la notevole crescita d’importanza del soggetto “arma”, che diventa l’interesse quasi esclusivo degli artisti: asce, alabarde e pugnali sono istoriati ripetutamente (Roccia 4 di Foppe di Nadro). Nell’ideologia degli uomini del Bronzo, infatti, le armi hanno buone premesse per essere ispiratrici di culto: non sono più solo strumenti e simboli di potenza militare ma anche fonte importantissima di commercio e accumulazione di beni.
Il periodo di transizione fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro corrisponde, nell’area alpina, a un’ondata di clima freddo, che causa la chiusura di alcuni valichi e il conseguente isolamento di alcuni gruppi umani, durato quasi due secoli. La chiusura dei passi e la naturale barriera dei ghiacci causarono una momentanea rottura dei tradizionali rapporti di scambio e produssero una maggiore differenziazione tra i vari gruppi. La Valcamonica, che probabilmente vide chiudersi le rotte commerciali verso sud e l’area alpina, visse un periodo di mutamento culturale che si riflette anche sulle scelte stilistiche operate dagli artisti rupestri. Notiamo una fase artistica poco creativa, che tende a riprodurre modelli precedenti; sono però ascrivibili a questo momento le prime raffigurazioni di guerrieri resi graficamente con un caratteristico “giro di braccio”. Questo soggetto avrà un’enorme diffusione durante la successiva Età del Ferro.
L’Età del Ferro
Convenzionalmente, per la Valcamonica, consideriamo Età del Ferro l’ultimo millennio a.C.; più precisamente, si tratta dell’arco di tempo compreso fra il 900 e il 16 a.C. (anno della sottomissione del popolo camuno all’Impero Romano). L’Età del Ferro è appunto caratterizzata dallo sviluppo della metallurgia del ferro, soprattutto per la fabbricazione di armi e utensili.
Sulla base dei recenti scavi archeologici, le popolazioni che abitavano la Valcamonica nell’Età del Ferro mostrano una certa vicinanza culturale con il mondo retico pur mantenendo un’assoluta originalità, che li porta all’incredibile esplosione artistica che caratterizza il I millennio a.C.
I dati archeologici testimoniano l’ampia circolazione di oggetti e quindi la presenza di un ricco commercio fra le valli alpine e le grandi pianure, mentre l’iconografia rupestre conferma l’ampia circolazione delle idee durante la Prima Età del Ferro e la capacità degli artisti camuni di assorbire e rielaborare contenuti culturali diversi nel linguaggio delle rocce incise. Nei temi raffigurati si ravvisano gli intensi contatti e i reciproci influssi culturali con le popolazioni vicine: Reti, Veneti, Celti di Golasecca e di Hallstatt, Etruschi, ecc.
L’arte rupestre dell’Età del Ferro è la più interessante e ricca dal punto di vista tematico. Si stima che circa i ¾ delle figure note siano da attribuire a questo periodo, che rappresenta dunque l’apice espressivo delle genti camune. A fianco di questa produzione a carattere iconografico compare anche la scrittura, che sfrutta l’alfabeto etrusco ma introducendo alcune varianti, probabilmente per adattarlo alla lingua locale (il cosiddetto “alfabeto camuno”).
La Romanizzazione
I Romani intrecciarono scambi commerciali e culturali con i Camunni a partire dalla metà del I secolo a.C., ma la sottomissione ufficiale avviene solo nel 16 a.C., come attestato dal monumento celebrativo di La Turbie (Francia) che li annovera fra le gentes alpinae divictae. Più che di una cruenta sconfitta militare, si trattò probabilmente di un graduale, anche se rapido, processo di assimilazione.
L’arrivo dei Romani cambiò lo stile di vita dei Camunni, introducendo il tenore di vita imperiale e le sue espressioni più classiche e compiute, come la città romana di Cividate Camuno con il foro, l’anfiteatro, il teatro, le terme, la necropoli di Borno e il Tempio di Minerva a Spinera (Breno).
Nel giro di poche generazioni si osserva il graduale rifluire del fenomeno incisorio: pur continuando ad incidere nelle stesse località frequentate in precedenza, il repertorio figurativo perde di freschezza e creatività fino ad estinguersi.
Arte rupestre storica
Alle soglie del XIV secolo, senza un’apparente spiegazione, riprende l’attività incisoria a Campanine di Cimbergo. Le raffigurazioni catalogate e studiate vedono un notevole incremento numerico di soggetti nel XV secolo, per poi decrescere verso la fine del XVI secolo (il progressivo abbandono dell’istoriazione delle rocce coincide con l’attuazione della Controriforma cattolica).
Ciononostante, è da escludere che le molte croci a martellina e a tecnica filiforme (graffito) dell’area siano segni di ri-sacralizzazione del territorio, visto come luogo magico scelto dai pagani per riti di stregoneria. In questa direzione è pure la tesi che esclude che il sito sia un luogo prettamente sacro. Si è invece convinti che i motivi della frequentazione del sito (come attestato anche dalle attività lavorative registrate dal catasto ottocentesco) e l’atto di incidere siano da ricercare nella sfera laica, perlomeno per la maggior parte dei segni. La presenza laica si intuisce facilmente anche dalle rappresentazioni di torri e castelli. Le prime, viste frontalmente, sono assegnabili alla fase incisoria di epoca storica (metà XV sec.); i secondi, riprodotti a volo d’uccello con vista dall’alto, con la raffigurazione di cinte murarie e torri ai lati, sono stati realizzati dalla fine del XV al XVI secolo. Un pensiero alla vicina rocca di Cimbergo è scontato, anche se i castelli riprodotti non sono necessariamente da associarsi alla struttura oggi esistente nel borgo camuno.