Stranamente, non abbiamo nessuna menzione dell’arte rupestre nella letteratura storica o nella cronaca locale prima del 1909, quando lo studioso bresciano Gualtiero Laeng segnala i due Massi di Cemmo al “Comitato nazionale per la protezione del paesaggio e dei monumenti”, istituito presso il TCI.
Si devono aspettare gli anni ’30 perché Giovanni Marro intraprenda un vasto lavoro di prospezione nella Media Valle, che lo porta ad individuare numerosi siti e a fotografare e pubblicare un gran numero di immagini. I toponimi di Zurla, Foppe di Nadro, Scale di Cimbergo compaiono negli scritti di Marro fin dai primissimi anni ’30. Nello stesso periodo Raffaello Battaglia effettua alcune spedizioni in Valcamonica per conto della Soprintendenza e dell’Università di Padova, formulando le prime importanti considerazioni cronologiche e interpretative sulle incisioni rupestri camune.
Negli anni ’40 Franz Altheim, professore all’Università di Berlino ed esponente del nazismo, cerca di inserire l’arte rupestre camuna nel quadro dell’ipotizzata “origine ariana dei popoli italici”. Nonostante i chiari intenti ideologici, il lavoro riveste notevole valore documentario, con particolare riguardo all’area di Cimbergo.
Dopo i traumi della Seconda guerra mondiale, Laeng riprende le ricerche in Valcamonica con l’aiuto di Emanuele Süss, iniziando un’intensa attività per la costituzione di un’ampia area protetta nella Media Valle.
Nel 1950, Piero Leonardi individua e pubblica altre incisioni nella zona di Paspardo.
Nel 1956, su sollecitazione del suo Maestro, il famoso archeologo francese Henri Breuil (noto anche come “il Papa della preistoria”), giunge in Valcamonica Emmanuel Anati, allora studente alla Sorbona: sarà lui ad avviare la ricerca e l’analisi sistematica delle incisioni rupestri camune. Nel 1960, Anati pubblica a Parigi “La Civilisation du Valcamonica“, primo studio monografico a offrire un quadro complessivo del patrimonio rupestre camuno, fornendo una ricostruzione globale della cronologia e della civiltà degli antichi Camuni letta attraverso l’arte rupestre e inserita nel più vasto quadro europeo. L’opera viene poi tradotta in inglese e in italiano.
Nel 1964 la Missione Anati, ossia il gruppo di studio che dal 1957 operava ricerche in Valle, si dà una sede stabile: nasce così a Capo di Ponte il Centro Camuno di Studi Preistorici (CCSP). Da allora, le campagne di ricerca e documentazione proseguono ininterrottamente: si dà avvio a prospezioni sistematiche e al rilevamento integrale di intere aree, viene ideato un metodo efficace per documentare le incisioni utilizzando fogli trasparenti e operando la copia fedele delle figure sottostanti. Sempre nel 1964 Anati individua e studia la composizione nota come Capitello dei due Pini, ad oggi simbolo del CCSP.
Negli anni ’70 i cantieri di documentazione abbracciano l’area di Foppe di Nadro, dove viene individuato e scavato anche un giacimento archeologico al Riparo II. Nel 1977 la Regione Lombardia adotta come proprio simbolo una variazione grafica della rosa camuna presente sulla Roccia 6 di Foppe di Nadro, elaborata da un gruppo di designer guidato da Bruno Munari. Nel 1979, nella sessione del 22-26 ottobre al Cairo, su proposta dell’assessore Sandro Fontana e del CCSP e su parere positivo dell’ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) la Commissione UNESCO inserisce le incisioni rupestri preistoriche della Valle Camonica nella lista del Patrimonio Mondiale.
Nel 1988 viene istituita la Riserva Naturale delle Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo, una vasta area comprendente oltre 500 rocce istoriate. Il Consorzio dei Comuni ne affida la direzione scientifica al CCSP. Dal 1988, il Direttore della Riserva è Tiziana Cittadini.
Nel 1989 il CCSP inizia le prospezioni nell’area di Campanine di Cimbergo. I lavori proseguono fino alla pubblicazione integrale dell’area nel 2009, mettendo in luce uno straordinario complesso costituito da quasi un centinaio di superfici e migliaia di figure. L’eccezionalità delle scoperte riguarda spesso l’epoca storica, che per la prima volta si rivela sulle rocce camune con un’espressività e un’intensità pari a quella delle più note istoriazioni di epoca preistorica.
Negli stessi anni, la Cooperativa Archeologica “Le Orme dell’Uomo” si dedica principalmente alle ricerche nell’area di Paspardo, concludendo e pubblicando la documentazione della località Dos Sottolaiolo e ampliando la sua area di ricerca nelle località Vite, Deria e In Vall.
Oggi la Riserva è al contempo l’area archeologica sotto tutela più grande della Valcamonica, una riserva naturale, un vasto territorio vissuto ed economicamente sfruttato dagli abitanti dei paesi limitrofi, un luogo di ricerca e un’area aperta al pubblico godimento: un delicato equilibrio e un modello di sostenibilità economica nella gestione dei beni culturali.